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mercoledì 14 dicembre 2016

Quattro Camei: i sonnambuli del PD, l’enigma M5S, la bandiera FI, il pozzo della L.N.



I sonnambuli del Partito Democratico.

Quello del Partito Democratico è un progetto inerziale, la Regalskeppet Vasa della politica italiana, come la sfortunata nave svedese sulla carta è il più armato e meglio equipaggiato vascello. Michele Salvati lancia l’idea in un articolo del 2003 in cui la terza parola è “vincere”. E di seguito chiama alla liquidazione ed espulsione della componente di sinistra “non moderata”, ovvero non intenzionata a “competere al centro” degli allora DS. Il progetto non mancava di chiarezza, ma era in ritardo. Di almeno dieci anni. Poi ci vorranno ancora quattro anni, ed infine avrà un sapore da tardo riverbero in uno specchio appannato: un contenitore senza forma, post-ideologico solo perché pieno di una sola ideologia, quella totalitaria mercatista; una cosa programmaticamente senza cultura politica. Totalitario, in questo simile al progetto del Partito della Nazione di Matteo Renzi, che ne è logico completamento; perché senza una propria visione e senza una “parte”, è solo un moto adattivo, orientato ad una stretta amministrazione di interessi che si pensano compiutamente espressi nel linguaggio monocorde dell’economia.

Vasa
Solo interessi, dunque. Questa nave che viene varata contemporaneamente all’avvio del turning point (peraltro già ben visibile da anni) che gli toglie letteralmente il terreno sotto i suoi piedi, il 14 ottobre 2007, provoca l’immediata fine del Governo Prodi e la seguente sconfitta. Lontano dal “vincere” provoca, cioè, il maggiore successo della controparte. Si ripresenta dopo qualche anno con la faccia di Monti, che è appoggiato “senza se e senza ma”, e insediato da uno dei suoi padri; e poi con la tragicommedia di Bersani. Quindi sembra prendere una raffica di vento con le Europee del 2014, ma gli è fatale. Troppo carica di decorazioni e troppo inadatta a navigare, si ribalta subito a meno di un miglio dal varo.
Questo progetto da sonnambuli avrebbe avuto senso solo se la società (che non è mai citata da Salvati) fosse stata quella immaginata da Inglehart dieci anni prima, le cui conseguenze politiche sono tratte da Giddens in tre libri del 1991, 1994 e 1998. Se fosse davvero finita la storia e con essa la società stratificata, divenuta un semolino post-materialista di individui benestanti e soddisfatti, autocentrati ed edonisti.
Non è probabilmente mai stata così, e per certo oggi non si sente così. Il “centro”, luogo mitico della pura amministrazione di semplici interessi, si fa vuoto in tutto l’occidente. C’era chi lo aveva visto negli stessi anni in cui Giddens produceva i suoi deliri, e francamente aveva anche molta più credibilità, ma non si ascolta chi vuole svegliarti (come nel 2003 tenterà anche Colin Crouch).

Comunque oggi il tempo delle scorciatoie maggioritarie, il cui significato tecnico affondava in questa sostanziale indifferenza del vincitore, cioè nella completa omologia della “parte” rappresentata (nella sua auto definizione come “totalità” senza alternative, né resti significativi) dai due possibili vincitori è finita. Quello che alla fine sembrava un puro scambio di élite politiche senza autentiche differenze, questione solo di “vincere” o di “perdere”, in quanto dotate più o meno della stessa cultura e soprattutto lo stesso riferimento sociale, il mitico “centro” (ovvero il semolino post-moderno), è diventato rischio di rivolgimento radicale. Invece di cambiare come si cambia un CDA in un’azienda, che continua la sua strada, determinata dalla sua logica aziendale, dal mercato esterno, e dalle tecniche, ci troviamo ogni volta sull’orlo di ribaltamenti. Di un’alternanza tra reciprocamente estranei che vedono nell’altro un “barbaro”. Sono tornate, in altre parole, le “parti”, ma non abbiamo più i “partiti”.
È infatti la scorciatoia maggioritaria, che trasforma minoranze qualificate in maggioranze artificiali, in questo non pensato scenario sociale (simile peraltro a quello che vide la soluzione proporzionale e costituzionale del dopoguerra), che ora trasforma, sotto gli occhi stropicciati dei sonnambuli, la strada pacifica immaginata nel sentiero della guerra civile. Dell’inferno.

Ma, come si vede in queste ore, i sonnambuli ancora dormono. Non è nella loro natura?


L’enigma del Movimento 5 Stelle.

E’ di poco più di un quinquennio successivo alle idee di Salvati e di soli due anni successivo al varo della nave del PD, ma il vascello del Movimento 5 Stelle è una agile barca corsara. Anzi una flottiglia, ben adatta a questo mare fattosi infido. Scandagliare la sua cultura politica in formazione è particolarmente difficile. Osservarlo dall’esterno fa intuire che il nuovo secolo, pur nella ripresa dello scontro sociale che si profila imponente, non avrà le forme politiche del vecchio.


La diagonalità assorbente del 5S organizza linee di conflitto coerenti con il linguaggio ed il sentimento che trova già pronte per l’uso.  Con la controdemocrazia è la centralità della sfiducia e della sorveglianza che dominano i ceti intermedi, traditi ed abbandonati, o sconcertati e spaventati, non sanno neppure bene da cosa. Abbastanza acculturati da immaginare che ci sia uno schema, ma orfani dei quadri, finanche dei facili finalismi che organizzavano l’universalismo ingenuo dei padri e dei nonni, la maggior parte dei militanti ed elettori di un movimento che conta su un bacino potenziale tra un quarto e qualcosa che si avvicina al terzo abbondante del corpo elettorale attivo e che può essere identificato quindi come maggioranza relativa, è orientato ad una sorta di tecno-anarchia paradossalmente protettiva. Il Movimento mostra insieme una sorta di franchising di contenitori familiari solidaristici, di comunità difensive e tendenzialmente chiuse, con una retorica ed esperimenti di post-democrazia (rappresentativa) la cui logica radicale andrebbe guardata con più attenzione ed interesse (qualcuno che tenta è Nadia Urbinati).
La strana flottiglia naviga verso acque sconosciute, e non è detto reggerà alla furia dei marosi ed ai molti scogli affioranti, ma lo fa in modo non privo di una sua logica.

Una spugna mimetica che troverà una sua forma, forse.


La bandiera di Forza Italia

Se il PD è il Vasa ed il M5S la flottiglia pirata della politica italiana, la rediviva Forza Italia mi pare assomigli al fantasma della Compagnia delle Indie Olandesi, che ha dominato un secolo irrimediabilmente trascorso. È stata una sorpresa dirompente, rispetto alla flotta reale lenta ed impacciata che gli si è contrapposta. La sua logica purissima, strettamente commerciale, ha determinato un’epoca.


Tuttavia anche lei, ora, non tiene il mare. Forza Italia è stato un movimento commerciale, governato con logica padronale seguendo l’istinto del suo leader che alla fine è stato, ed è ancora, l’unica possibile bandiera. Forza Italia è una bandiera.
Dietro questa si sono organizzate forze disparate, orfani di molte battaglie, ex tutto, che negli anni novanta hanno prima di tutti scommesso nella fine del novecento politico. E per un poco hanno avuto ragione. Ma come gli olandesi, inseguendo la loro pura logica commerciale, non hanno posto basi territoriali solide. Forse come loro non ne avevano neppure le forze, ma di certo non ne avevano il desiderio.

Cosa accade ad un Partito non-Partito, post-ideologico e post-moderno, quando la non-società si ripolarizza su linee materialiste? Scivola nella marginalità.
Le basi di potere “reale” del leader sono ancora sostanzialmente intatte, ma le forze declinano, e gli anni novanta sono finiti. Le flottiglie pirata sono alle porte.

È forse il tempo di riporre la bandiera. Ma non è chiaro dove.



Il pozzo della lega Nord.

L’altro pirata della politica degli anni novanta è la Lega Nord; la data è 1997, a tratti è sembrato un corsaro, catturato dalla bandiera della flotta commerciale, arruolato nella guerra di corsa di quest’ultima, anche quando gli intenti divergevano. La lega Nord ha però una lunga storia, certamente la più lunga, ed è figlia legittima del post-fordismo nelle sue componenti che ottengono i primi successi elettorali già nei primi anni ottanta. Cioè di quel movimento che tra gli ultimi settanta ed i primi ottanta ha attraversato come un ciclone il nord industrializzato da Est a Ovest. Creando un insediamento diffuso e molecolare, un’accresciuta pressione sulle vite stesse delle persone, obbligate a correre da sole attraverso ostacoli sempre più alti. È la figlia della “società del rischio” preconizzata in quegli anni da Beck e da Bauman, tra gli altri.


L’insediamento reattivo e strettamente territoriale della Lega Nord, l’esatto opposto della flotta commerciale a tratti alleata ed anche della flottiglia pirata, è un effetto secondario inconsapevole del neoliberismo imperante. Una reazione alla sua forza sradicante, ed è abbastanza coscientemente una forza anti-modernista.
Scava pozzi, che a volte avvelena, per ritrovare mitiche acque pure che non sono mai esistite; crea nuove socialità fatte di comunità larghe, cementate da nemici immaginari e mitici. Esercita concretezza nella sua rivolta fiscale e demagogia nella protezione di ogni piccolo abuso (come nel caso delle “quote latte”) purché  fatto “dai suoi”.

Recentemente ha scelto di parlare della “nazione”, proprio lei, che nel regionalismo europeo starebbe bene, ma sta male nella parte del “terrone” sfruttatore che i nordici veri vogliono disegnargli.


Scavando pozzi, si può scoprire infatti che altri li fanno più profondi.  

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